Monti Invisibili

Monte Pellecchia

Quota 1.368 m

Data 8 maggio 2020

Sentiero segnato

Dislivello 772 m

Distanza 17,49 km

Tempo totale 7:20 h

Tempo di marcia 5:26 h

Cartografia Il Lupo Lucretili

Descrizione Da Passo La Croce (908 m) per la Pineta e le Serre di Ricci, il Colle della Caparnassa (1.066 m, +50 min.), il Rifugio Casa del Pastore (1.002 m, +20 min.), il Colle Valle del Lago (1.280 m, +42 min.), Colle Pietropaolo (1.218 m, +15 min.), Monte Pellecchia (1.368 m, +30 min.), Pizzo Pellecchia (1.333 m, +33 min.), la Valle Lopa e il relitto del velivolo Beechcraft C-45 precipitato il 25 agosto 1960 (1.014 m, +1,12 min.), le Serre di Ricci e Passo La Croce (+1,04 h). Piacevolissima escursione di ritorno sui sentieri dopo 70 giorni per il blocco Coronavirus. Incontrate una trentina di persone. Tutti i monti in vista senza neve tranne la Majella. Avvistate due aquile.

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Traccia GPS

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039 Beechcraft C-45

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038 Relitto Beechcraft C-45

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037 Relitto Beechcraft C-45

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036 Relitto Beechcraft C-45

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033 Me

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032 Gran Sasso da Pizzo Pellecchia

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031 Pizzo Pellecchia

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030 Pizzo Pellecchia

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029 Nuvole

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028 Nuvole

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027 Nuvole

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026 Verso Pizzo Pellecchia

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025 Verso Pizzo Pellecchia

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024 Iris sabina

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023 Monte Pellecchia e Monteflavio

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021 Monte Pellecchia croce aviatori

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020 Verso Monte Pellecchia

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017 Asfodeli

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016 Terminillo e Vettore

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014 Verso Colle Valle del Lago

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012 Verso Colle Valle del Lago

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011 Valle del Prete

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009 Monte Gennaro da Colle della Caparnassa

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008 Orchidea

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005 Serre di Ricci

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004 Serre di Ricci

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003 Serre di Ricci

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002 Terminillo da Serre di Ricci

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001 Serre di Ricci

Monte Pellecchia, 8 maggio 2020. Settanta giorni che manco dai sentieri, allaccio gli scarponi con dita tremanti e l’aria limpida, l’odore della resina, il blu del cielo mi danno il capogiro.

Dopo un breve viaggio nel timore di essere fermato, sono agitato come un innamorato al primo appuntamento, come se non avessi trascorso decenni ad andare su e giù per i sentieri del mondo. E ora, sono qui, ad appena cinquanta chilometri da casa, grazie alla miopia dell’amministrazione regionale che dopo il blocco per il coronavirus ci ha chiuso negli angusti confini provinciali. Ma comunque sono nell’amato e selvaggio Parco dei Lucretili.

Inizio il cammino in uno stato di eccitazione che rasenta la commozione. Inciampo in ogni sasso, guardo e assaporo ogni particolare. Vorrei essere ovunque: lì, sopra, sotto; vorrei essere già arrivato e vorrei non tornare più. Vorrei essere albero ed essere sasso. Respiro i colori dei fiori dell’erba della terra, nell’aria fresca del mattino che riempie il mio essere.

Il passo acquieta l’animo mentre incrocio solitario sulla Serre dei Ricci che presto diviene una panoramica dorsale, aperta sulla campagna romana e sulla cresta di destinazione che scorre alta e pigra al mio fianco. Fra intense fioriture di orchidee raggiungo i 1.066 metri del Colle della Caparnassa, che libera lo sguardo fino al mare e al cratere del Lago di Vico.

Mi rituffo nelle ombre del mattino seguendo un’antica Via della neve, che dal tempo dei Romani fino a quelli ottocenteschi riforniva la Capitale della fredda materia per sorbetti, gelati e per mantenere freschi gli alimenti. La neve veniva pressata e mantenuta in pozzi ricoperti di terra, trasformata in ghiaccio e trasportata con i carri lungo la Via Salaria, durante la notte per evitarne lo scioglimento.

Le amiche querce lasciano il posto agli amati faggi, essenza appenninica per eccellenza. Abbraccio il primo albero e un ringraziamento sorge spontaneo. Se a qualcosa è servita questa reclusione, è a evidenziare che io non ho bisogno della natura: io sono natura!

Alla sella lascio la retta via e vado a sbirciare i remoti Colle Valle del Lago e Colle Pietropaolo, dove la corona delle montagne appenniniche è tutta in bella vista, dal Terminillo, al Vettore, al Gran Sasso, con la sola Majella a presentare ancora qualche seria traccia di neve.

Torno sui miei passi ed ecco in breve i 1.368 del Monte Pellecchia, la vetta più elevata del parco, con la contorta elica dell’incidente aviatorio del 25 agosto 1960.

Mandrie di multiformi nembi mi accompagnano lungo la panoramica cresta in saliscendi, sul bordo della vietata provincia di Rieti, verso i 1.333 metri del Pizzo Pellecchia. Fave, pecorino e una quieta pipa a mirare questo mondo che tanto mi è mancato.

Giungono camminatori da ogni dove (alla fine ne conterò una trentina) e con Fausto, Massimiliano e il piccolo Paolo di sette anni accorcio il distanziamento sociale. Lungo la Valle Lopa andiamo alla ricerca dell’aereo caduto ed ecco infine il Beechcraft C-45 dell’Aeronautica Militare di stanza nella vicina base di Guidonia e precipitato sulla montagna in quell’estate di sessant’anni or sono. Due aquile alte sul relitto sembrano onorare i quattro aviatori.

Finalmente di nuovo in pace, saluto i nuovi amici e riprendo solitario il cammino.

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