Monte Orsello
Quota 2.043 m
Data 16 marzo 2019
Sentiero parzialmente segnato
Dislivello 1.075 m
Distanza 14,50 km
Tempo totale 7:19 h
Tempo di marcia 5:56 h
Cartografia Il Lupo Velino-Sirente
Descrizione Da Carpeneto (1.346 m) per l’elevazione del Terriccio (1.617 m, +40 min.), Pizzo delle Fosse (1.999 m, +1,35 h), Monte Orsello (2.043 m, +30 min.), la sterrata di fondovalle che costeggia il Torrente Rio (1.172 m, +1,18 h), la Madonna di Peschio Cancelli (1.048 m, +28 min.), Sant’Antonio (1.053 m, +5 min.), Valle Le Canali e Carpeneto (+1,20 h). Cresta panoramica e con alcuni punti di moderata difficoltà. Nella discesa, a quota 1.440, per seguire il sentiero tenersi nettamente a destra (nordest). Nella salita, dopo il Torrente Rio, seguire la mulattiera fino a che in breve devia a destra (ovest) e diviene sentiero. Innevamento sporadico e sottile da quota 1.830 con necessità di ramponi. Quota neve sul versante nord 1350 m.
025 Birra del Borgo
024 Sant'Antonio
023 Madonna di Peschio Cancelli
022 Verso il Torrente Rio
021 Le Fossette
019 Gran Sasso
018 Gran Sasso
017 Monte Orsello
016 Monte Orsello
015 Cresta ovest Orsello
014 Gran Sasso da Pizzo delle Fosse
012 Barriere antivalanga
011 Quota 1998
010 Cresta ovest Orsello
009 Gran Sasso
008 Ramponi
007 Gran Sasso
006 Dal Velino al Costone
005 Vettore e Laga
004 Gran Sasso
003 Neve pallottolare
002 Carpeneto
001 Carpeneto
Monte Orsello, 16 marzo 2019. La misura del tempo è la quantità oppure l’intensità? Siamo portati a dare valore alle esperienze di lunga durata – i viaggi di settimane, le serate di ore – forse rincorrendo un appagamento più fisico che spirituale. Eppure le avventure intense sono quelle che più s’imprimono nell’animo, che lasciano ricordi duraturi e profondi.
Il tempo è un po’ come l’elettricità: è bene averne tanta (i volt) ma senza intensità (gli ampere) serve a poco. Basti pensare alle lunghe ore in ufficio, alle code nel traffico.
Un’esperienza breve ma intensa è stata questa fuga sul Monte Orsello, lungo il crinale solitario che sale da ovest e che viene a torto sovente trascurato; tant’è che non c’è neanche un sentiero e s’incontrano sul percorso solo un pugno di segni sbiaditi nell’antica livrea rossogialla.
Sono appena scoccate le 7 di un’alba velata quando prendo a inerpicarmi dal curvone dell’antenna, sulla strada per Campo Felice, in un ambiente invernale che reclama una neve già assente. Crochi maldestri e macchie di neve pallottolare chiazzano qui e là il cammino.
Mentre raggiungo i 1.617 metri del Terriccio, tutte le vette del circondario – dal Terminillo al Vettore alla catena del Gran Sasso – evidenziano la medesima paurosa carenza di bianco. Ai 1.830 metri inizia il candido elemento: sottile, discontinuo, ma duro da ramponi. E camminare diviene arduo con i ferri che reclamano neve e non pietre.
La cresta si affila, si fa rocciosa e impervia, richiede attenzione su alcuni delicati passaggi, resi più intensi da una solitudine che accresce la soddisfazione di averli superati.
Intanto mi avvedo che la pigrizia, dettata dalla neve sottile, mi ha fatto lasciar perdere di calzare le ghette e mi ricordo che queste servono non tanto e non solo a non far entrare la neve negli scarponi, ma i ramponi nei polpacci.
Fra ampie vedute sui contrapposti versanti percorro l’ondulata esile cresta, aggirando roccioni e tenendomi lontano dalle cornici; scavalco il Pizzo delle Fosse e con la prudenza dettata dalla polverosa neve ventata che forma uno scivoloso zoccolo sotto gli scarponi, giungo ai 2.043 della cima.
È ora abbondantemente innevato il versante nord della mia discesa che costeggia l’impervio Vallone delle Fossette. M’inoltro nel bosco e seguo una linea diretta fra gli alberi lungo le piste di cervi, fino alla sterrata che rasenta il Torrente Rio.
In una primavera confermata solo dal rumore delle acque, seguo la pista in un sereno cammino che oltrepassa le chiesette rurali della Madonna di Peschio Cancelli e di Sant’Antonio.
Inizia qui la risalita verso la macchina, con l’errore di abbandonare la mulattiera che sembra volgere a est, per andare diretto verso ovest, condannandomi così a un quarto d’ora di rufolamenti fra macchie e spini, fino a riprendere il sentiero in cui quella carrareccia si trasforma.
L’ormai evidente percorso pastorale m’innalza rapido fra ameni valloncelli e presto sono di nuovo a Carpeneto, in tempo per un paio di bionde all’opificio di Birra del Borgo di Borgorose. Anche questo è tempo.